Diario berlinese 24: Sasha Waltz

                                                                                                                                   Matteo Galli

Non andavo alla Waldbühne dagli anni ’80, ci avevo visto il film di Ruttmann: “Berlin – Die Sinfonie der Großstadt”. Non mi ricordavo nemmeno dove fosse. Ho provato ad andarci domenica scorsa, Barenboim dirigeva l’ Ottava e la Nona di Beethoven con la sua “West Eastern Divan Orchestra” , ma arrivato lì poco prima dell’inizio ho scoperto di avere pochi contanti con me. La biglietteria non prende carte di credito, e il bancomat più vicino è a non meno di 15 minuti in bicicletta. Peccato. Era la giornata di Marienfelde, abbiamo ripreso la S-Bahn caricandoci sopra le biciclette, ci siamo addormentati durante il tragitto. La Waldbühne e io avevamo un conto aperto. E dunque: secondo tentativo. E poi c’era un secondo conto aperto: inseguivo da tempo il “Dido and Aeneas” coreografato e diretto da Sasha Waltz, forse la più grande erede di Pina Bausch. Nel 2009 avevo visto “Allee der Kosmonauten”, lo spettacolo che aveva inaugurato i ristrutturati “Sophiensäle”, la sala presa in gestione dalla Waltz nel 1996 e divenuta da allora uno dei centri pulsanti del teatro danza mondiale. Ma quando nel 2006 “Dido and Aeneas” – unica tappa italiana – era passato proprio da Ferrara, l’avevo perso. Insomma, appunto, un altro conto aperto. Chi l’aveva visto me ne raccontava maraviglie. E allora ho preso i biglietti. Insieme a me, ancora una volta, Uwe Timm.
Tutto lasciava pensare che anche stavolta la cosa non andasse a buon fine. Nell’arco di poche ore, ieri, la temperatura è precipitata di 15 gradi e dopo alcune prove tecniche in mattinata dal primo pomeriggio in avanti hanno cominciato a venir giù ettolitri d’acqua. Poi all’incirca un’ora prima dello spettacolo, come per magia, gli elementi – quegli stessi elementi, tuoni e lampi, che, leggo, in una rappresentazione nell’anfiteatro di Lione erano parsi alla coreografa così complementari all’azione scenica – sono stati benigni. L’anfiteatro, come dice il nome del resto, è immerso nel bosco, contiene 22.000 posti, ha una lunga storia alle spalle: costruito in epoca nazista per i cosiddetti “Thingspiele”, teatro di memorabili concerti rock di Berlino Ovest, per un certo periodo palcoscenico per gare di pugilato. In questo agosto 2011 ci hanno suonato/cantato: Joe Cocker, Max Raabe, Barenboim e la sua orchestra e anche i Berliner Philarmoniker con Simon Rattle (all’epoca di Karajan era impensabile che suonassero qui). Credo che data l’instabilità delle condizioni meteorologiche in media un evento su quattro finisca per saltare.
Le condizioni erano pessime: il luogo che – sarà la sua storia – non mi entusiasma, fango ovunque, le panche bagnate fradicie, un freddo che ti entrava nelle ossa, dietro di noi un bambino lagnoso che a più riprese piagnucolava e chiacchierava (ma che ce li portano a fare i genitori? forse così si sentono tanto alternativi…), posti mediocri – la “Waldbühne” è divisa in cinque anelli, e noi eravamo nel terzo, – lontanissimi dal palcoscenico, proprio davanti a noi un pilone di sostegno, alle spalle dei bruttissimi lampioni con luci al neon, ai lati del palcoscenico due schermi, a rendere il tutto ancora più “evento”, più mediatico, a fare il possibile per distruggere ogni possibilità di aura. E non mi ero riletto il libretto, non ricordavo niente dell’opera, se non quel che si sa della vicenda dall’Eneide – e francamente fra l’inglese arcaico e gli inserti aggiunti da Attilio Cremonesi che ha “riaggiustato” la partitura (non so quanto i filologi apprezzino l’operazione), ho capito ben poco.
Eppure. Eppure, macché cinema, macché mostre, “Dido and Aeneas” è la cosa più bella che ho visto a Berlino in questo mese. Momenti di pura bellezza, di stupore, di sospensione del tempo, di autentica emozione estetica: dal famosissimo quadro iniziale con i ballerini nell’acquario (ero rimasto estasiato da qualcosa di simile nel primo quadro dell’ ”Oro del Reno” con la regia della Fura del Baus, al Maggio Musicale di quattro anni fa, con le Ondine che si tuffavano e riemergevano e cantavano: che la Fura abbia copiato? Lo spettacolo di Sasha Waltz è del 2005…), alla scena finale con Didone che si dissolve dietro al proprio velo vedovile, e i fuochi che lenti si estinguono, dal gioco delle mani, ai ballerini sospesi a un bilanciere che si librano nell’aria. Sono certo di non riuscire a dire niente di originale. Lo spettacolo è stato recensito in tutto il mondo, interi pezzi si trovano su YouTube e dal 2008 esiste anche un DVD.
Nel giugno del 2012, il 3, il 7 e il 9, lo rifanno al chiuso, allo Schillertheater che sta ospitando la stagione operistica, ora che la Staatsoper è in ristrutturazione. Merita un viaggio a Berlino.

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