Diario berlinese 8: Nina

Matteo Galli

Uno sfondo rosa con tanti fiorellini, decisamente kitsch. Poi un numero impressionante di slogan politici e religiosi, citazioni, contributi propri e altrui scaricati da You Tube. Sulla banda laterale la stessa cosa, un profluvio di immagini, “Aufkleber” con Martin Luther King, Gandhi, ma anche “Vattenfall stoppen” (“Fermare Vattenfall”, la società produttrice di energia elettrica che si avvale anche di centrali nucleari), un altro con scritto sopra “The Law of the Lord is perfect reviving the Soul”, il rimando alla pagina di Facebook (che in realtà è il manifesto di “Ein Engel auf Erden” con Romy Schneider, in italiano il film si intitolava “Angelica ragazza jet”) e poi anche qui alcuni contributi scaricati da You Tube, per esempio un pappagallo che canta “God bless America”. Sto parlando della pagina web di Nina Hagen (http://www.beepworld.de/members77/ninahagendas/). Lo faccio non perché sia stato colto da nostalgia improvvisa ma perché ieri sera al “Babylon” di Rosa-Luxemburg-Platz hanno presentato un medio metraggio intitolato “Nina Hagen – Godmother of Punk”. Lo ha realizzato Cordula Kablitz-Post, regista-produttrice di ARTE specializzata in documentari biografici su persone famose oltreché regista di alcune puntate di una trasmissione televisiva concepita secondo il “format” che da noi si chiamava “Milano-Roma”: metti insieme due persone possibilmente diverse e gli fai passare del tempo insieme, in tedesco la trasmissione si chiama “Durch die Nacht mit…”. Il titolo del film è già programma, più di quanto non sembri a prima vista: Nina Hagen è sì la madrina del punk, ma è anche – almeno da una ventina d’anni a questa parte – una delle principali testimoni (e testimonial) del messaggio di Gesù Cristo, al quale, secondo un’affermazione ormai divenuta leggendaria, sarebbe arrivata tramite l’LSD. Il film è una superficiale carrellata mooooolto televisiva e totalmente priva di una tesi, che passa in rassegna le principali stazioni della vita di Nina: enfant prodige della coppia più glamour e più scomoda della DDR (l’ex star di regime, la splendida Eva Maria Hagen e il “patrigno” Wolf Biermann), starlet televisiva e musicale della televisione di Stato già con uno straordinario talento performativo e parodistico, adolescente ribelle, emigrante (pochi mesi dopo la privazione della cittadinanza a Biermann), punk della prima ora (grazie ad un soggiorno a Londra nei mesi, negli anni giusti), star di Berlino-Ovest e dell’Europa tutta soprattutto grazie ai due album “Nina Hagen Band” del 1978 e “Unbehagen” del 1979, l’uso di stupefacenti (LSD e cocaina), gli amori, i figli, la progressiva centralità della sfera religiosa (cristiana e indù, con lungo soggiorno in India), le derive new-age, il ritorno dopo più di trent’anni nella hit parade con l’album di gospel “Personal Jesus” (il documentario mostra qualche immagine del concerto nella Gethsemane Kirche della Stargarderstraße, nel novembre 2010). Fra gli intervistati, oltre a Nina Hagen stessa che la fa da padrona, spicca la madre, ancora bellissima a 77 anni, musicisti della “Nina Hagen Band”, e in unico – ma esilarante – intervento Wolf Biermann che racconta di quando Nina ancora alunna di scuola elementare gli urlò in faccia “Du sollst meinen Walter Ulbricht nicht ääääärgern” (“Guai a farmelo arrrrrrabbiare, il mio Walter Ulbricht), sarà stato il 1964 o il 1965. Quando sette anni fa Biermann venne per un mesetto a Ferrara come writer in residence ricordo ancora che disse, lapidario: Nina Hagen è il più grande talento che abbia mai incontrato.

E in sala, ieri al Babylon, idealmente accompagnata da un bel numero di spettatori in look tardo-punk, c’era anche lei, ancora con la sua capigliatura eccessiva a 56 anni, e la sua voce straordinaria che si è abbassata almeno di un’altra ottava, alla fine del film è salita sul palco, ha cantato a cappella due gospel, na ja. La Nina Hagen degli anni ’70, quella di “Du hast den Farbfilm vergessen” prima, di “TV-Glotzer” o di “Pank” poi, ma anche le sue straordinarie parodie, fra tutte “My Way” era grandiosa, la Mahalia Jackson arrochita mi piace un po’ meno.  Preferisco Eva-Maria.

Matteo Galli

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