Diario berlinese 4: Gentrification

Matteo Galli

Non c’è quasi giorno, a Berlino, in cui non si parli di case: chi cerca casa perché è appena arrivato, chi vuole cambiare casa magari perché prima viveva in una WG e adesso vuole andare a vivere per conto proprio, chi cerca di comprare, se può permetterselo. Ascolto tutto con grande interesse, sia le storie di chi è arrivato da poco che racconta delle maxi-audizioni per accaparrarsi un appartamento di due stanze in affitto nel quartiere preferito nella (spesso vana) speranza che l’agenzia immobiliare, il proprietario o l’inquilino in cerca di “Nachmieter” scelga proprio te, sia soprattutto i racconti di chi vive qui da molto tempo e ha avuto modo di osservare da vicino – e biasimare – le trasformazioni subite dalla città negli ultimi vent’anni. La parola che presto o tardi – di solito piuttosto presto – viene pronunciata in questi casi è “gentrification”: “the process of renewal and rebuilding accompanying the influx of middle-class or affluent people into deteriorating areas that often displaces poorer residents”, così recita un dizionario inglese online. Può essere interessante confrontare il differente spazio che sulla pagina di Wikipedia ha la voce tedesca “Gentrifizierung” rispetto a quella italiana “gentrificazione”. O se volete le occorrenze di google: 221.000 contro 26.000. A dimostrazione che di questo fenomeno in Italia ancora si parla piuttosto poco. Berlino è uno dei centri del dibattito sulla “Gentrifizierung”, la figura di maggior spicco è un sociologo urbano che si chiama Andrej Holm, al cui caso – venne arrestato nel 2007 perché sospettato di terrorismo, il procedimento è stato archiviato soltanto un anno fa – la stampa internazionale ha dato un certo rilievo. Andrej Holm è il responsabile unico di un interessantissimo blog, chiamato appunto “Gentrification Blog” dove vengono pubblicati una media di 5-10 lunghi interventi ogni mese che ricevono una valanga di commenti. Al centro degli interventi di Holm ormai non c’è soltanto Berlino, anche se Berlino resta il luogo privilegiato delle sue riflessioni, ma anche altre città europee e non: Vienna, Tel Aviv, Istanbul.

Ho letto alcuni dei suoi post, ho sentito anche una sua lunga intervista a una radio austriaca. Al caso specifico della gentrificazione del Prenzlauer Berg, peraltro, è dedicata la sua prima grande ricerca datata 2002. Quattro anni dopo Holm ha pubblicato il lavoro che più lo ha reso famoso nel campo della sociologia urbana: Die Restrukturierung des Raumes. Stadterneuerung der 90er Jahre in Ostberlin. Interessen und Machtverhältnisse (La ristrutturazione dello spazio. Rinnovamento urbano negli anni ’90 a Berlino Est. Interessi e rapporti di potere). Holm propone una sociologia militante, fatta di azioni di resistenza, di micro-solidarietà in primo luogo fra quelle frange della popolazione destinate a subire il processo di gentrificazione (ma con ambizioni intergenerazionali e interclassiste, però), venendo presto o tardi cacciate dai quartieri dove avevano scelto di abitare per essere confinati nei quartieri periferici della cintura urbana – un fenomeno globale che, va pur detto, a Berlino si compie con maggior lentezza rispetto ad altre città del mondo, non foss’altro per il fatto che la legislazione qui tutela più che altrove gli inquilini, in merito sia agli aumenti che agli sfratti. Inutile dire che la questione è di portata enorme; ne va – né più né meno – che della riformabilità del capitalismo: vuole, può, sa la politica operare un correttivo ad un trend squisitamente economico e speculativo il quale prevede – semplifico – che un determinato quartiere (magari un tempo a leggero rischio ghetto) diventi per mille differenti ragioni interessante, appetibile, che – secondo una dinamica spesso ricorrente – prima vi si trasferiscano gli artisti e i creativi, nascano locali come funghi, gli investitori immobiliari ci mettano gli occhi, comincino le ristrutturazioni in grande stile, gli affitti aumentino, la popolazione si trasformi, i meno garantiti se ne debbano andare, il quartiere cambi, muoia, diventi perbenista e sonnacchioso (è successo col Prenzlauer Berg, ma sta succedendo con Friedrichshain, Kreuzberg, Neukölln…) – e i nuovi borghesi chiamino la polizia non appena c’è un po’ di rumore? E’ possibile operare un correttivo politico a tutto ciò? Holm dice di sì. Io – che non credo nella riformabilità del capitalismo – dico di no. Anche questa città, governata da una coalizione di sinistra, non vuole, non può, non sa farlo.

Nel febbraio del 2011, sul “Tagespiegel”, è uscito un lungo articolo sulla situazione immobiliare di Berlino, basato su una serie di dati e punti di vista (fra l’altro quello di Holm cui viene dato molto spazio). Questi i dati salienti: 1) dopo gli ultimi due anni di crisi (dal 2008) gli investitori stanno tornando a credere nelle potenzialità di Berlino, gli analisti preconizzano un “decennio d’oro” per la capitale; 2) gli investitori stranieri ammontano a circa il 50% del totale (dagli USA, dall’Europa, sempre più spesso dall’Asia e dai paesi del Golfo); 3) rispetto ad altre città tedesche (Monaco e Amburgo) il mercato immobiliare (sia quello commerciale che quello abitativo) non è ancora saturo e con prezzi ancora relativamente bassi – i dati del 2009 dicono che il costo netto di un affitto a Berlino era pari a 4,83 euro a metro quadro mentre la media tedesca era di 5,12 euro e quella di Monaco, tanto per fare un esempio, era attestata sui 9.70 euro. Lo stesso dicasi per i prezzi di vendita: una casa a Berlino costa un quinto di Parigi, un ottavo di Londra, un ventesimo di Mosca; 4) Berlino resta tuttavia una città di affittuari, la percentuale di case di proprietà di chi ci abita ammonta al 15%; 5) i prezzi però aumenteranno – non solo in seguito alla gentrificazione – ma perché lentamente verranno a mancare case e perché si costruisce poco – un fenomeno che riguarda l’intera Germania, il culmine verrà raggiunto nel 2025. Ciò è dovuto principalmente al fatto che sempre più persone vivono da sole: “Ein-Personen-Haushalte”, col che si torna alla gentrificazione: se molli casa devi trovare qualcosa di nuovo e questo ti costerebbe molto di più di quanto ti costa la casa dove stai con l’affitto bloccato; 6) il numero delle case vuote sta calando rapidamente, la saturazione a Berlino potrebbe arrivare prima del 2025, anche se la senatrice allo sviluppo urbano SPD Ingeborg Junge-Reyer sostiene che il problema è ben lungi dall’essere urgente.
Ricordo che la SPD con il programma di Bad Godesberg (1958) prese commiato dal marxismo: con 324 voti contro 16.

Matteo Galli

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2 Responses to Diario berlinese 4: Gentrification

  1. Francesco Aversa says:

    La discussione è nota, mi è nota ed è anche tema di campagna elettorale per le imminenti (18 Settembre) elezioni del nuovo sindaco e del parlamento del Land Berlin. Giro per la città e i cartelli elettorali della Linke auspicano protezione del buon diritto degli affittuari contro il “Wild-West”, metafora non troppo innocente che sintetizza fin troppo bene il sentimento di vedersi colonizzata l’intera città.
    Sono lievemente pessimista sugli sforzi che si possano fare per “Das soziale Berlin”. È doveroso e commendevole battersi perché la capitale tedesca conservi quanto ancora le rimane di sociale e di non assimilabile alle turbo-metropoli ad alto costo Londra e Parigi. Ben vengano le iniziative di attenuazione degli effetti del libero mercato, che finisce per costringere alla periferia coraggio, creatività, sperimentazione.
    Eppure… lo si è mai visto un capitalismo “dal volto umano”?
    Mi ritorna in mente il mio ex coinquilino della Muskauerstr. a Kreuzberg SO36 che mi mostrava, con mal celato orgoglio, ritagli da qualche Tagesspiegel degli anni Ottanta: lui e altri compagni dei Grünen duri e puri a manifestare per le strade di quella oasi felice che era Berlino Ovest, a manifestare per una Berlino sociale e pacificamente multietnica. Negli Anni Zero quei manifestanti continuano a crederci, vivono ancora a Kreuzberg e mandano i loro figli a scuola … a Steglitz.

  2. Alessandro Zironi says:

    Grazie, Matteo, per questo Diario, molto interessante, in cui mi ritrovo molto. Un po’ Berliner anch’io, dai primi anni ’80, pure io ho vissuto lo sgomento di arrivare in Grollmannstraße e non trovare più il proprio ristorante indiano del cuore sostituito da un orrendo Paki… per non parlare del Café Adler, divenuto uno psedo-techno! Caro Florentiner Neu-Junker che hai cacciato le vecchiette da Prenzlauerberg, perché non ci racconti della Monumentalisierung di Berlino e delle squallide periferie dell’ovest, come quelle intorno al Kraftwerk di Wedding? …. mi sa che sono fra quelli che dicono «Ah, Berlino, quella vera è a Wedding, Moabit, usw…». Grazie per l’appuntamento quotidiano, in attesa di arrivare anch’io a settembre!

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