Diario berlinese 3: Mädchen ohne Abitur

Matteo Galli

Almeno una volta al mese Uwe Timm viene a Berlino: sedute della “Akademie der Künste”, “Lesungen”, interviste, di recente è diventato nonno. Suo figlio Tobias che lavora per la “Zeit” ha due figli piccoli, uno di due anni e uno di pochi mesi. Hanno comprato casa nella Karl-Marx-Allee, un indirizzo molto amato dalla borghesia intellettuale di Berlino. Ieri Uwe con la nuora ha portato i bambini allo zoo, Tobias è in Giappone. Come tutti gli scrittori socializzati a ovest, abita a Friedenau; ci abitavano Grass, Enzensberger, Uwe Johnson (a casa sua si installò la Kommune I); adesso ci abita Herta Müller e anche Julia Franck.
Quando siamo entrambi a Berlino, Uwe e io, ci vediamo sempre, di solito andiamo a teatro, per lo più alla Schaubühne che resta secondo me il miglior teatro berlinese, anche se maledettamente lontano da casa. Stavolta, ieri, l’ho trascinato al cinema, volevo vedere un film austriaco appena uscito, intitolato “Die Vaterlosen” (“I senza padre”). Abbiamo deciso di andare a vederlo a Kreuzberg, anzi ad esser più precisi a Kreuzkölln, si chiama così la zona a sud del canale, al cinema Moviemento, che nella homepage si presenta solennemente come il più vecchio cinema tedesco. Forse conoscete la parola “Kintopp”, un termine colloquiale che sta a significare cinema delle origini, ricreazione, intrattenimento magari anche un po’ a buon mercato. Il Vocabolario Etimologico di Kluge propone di ricondurre l’etimologia del termine ad Alfred Topp che in quell’edificio fondò nel 1907 un cinema chiamato – stando a quando afferma un blog berlinese – “Kinematographietheater Topp”; secondo Wikipedia si chiamava “Lichtspieltheater am Zickenplatz”. Fatto sta che già nel 1909 Döblin parla del “Kientopp” (con la “e”) come del teatro della piccola gente. Il cinema da allora ha cambiato mille nomi. Dal 1984 si chiama appunto “Moviemento”, da quanto Tom Tykwer, il regista di “Lola corre” cominciò a lavorarci come proiezionista e, in seguito, a curare la programmazione di uno dei cinema d’essai più famosi di Berlino. Da Prenzlauer Berg al “Moviemento” ci vogliono (ci metto) 25 minuti in bicicletta, la fermata di métro più vicina è quella della Schönleinstraße che dà su Kottbusser Damm, una delle vie più turche di Berlino, piena di ristoranti e “Imbissubuden”, di agenzie scommesse, negozi di vestiti pacchiani ed improbabili elettrodomestici di bassa lega. Uwe che pure frequenta Berlino da una vita e ci ha vissuto due anni all’epoca in cui scriveva “Rot”, si perde sempre, quando ci diamo un appuntamento, devo correggergli la rotta in corso d’opera, stavolta aveva sbagliato fermata di métro confondendo Hermannplatz con Hermannstraße.

Da quando seguo la Berlinale sono diventato uno spettatore più irrequieto: a ogni film do tempo massimo un’ora per interessarmi. E infatti dopo un’ora ce ne siamo andati: un “Kammerspiel” ambientato in Stiria, muore ancora piuttosto giovane un padre e i figli si ritrovano in attesa del funerale, si scopre che l’uomo aveva fondato una comune sessantottina, tante donne, tanti figli, tante ferite, silenzi – e tutti devono fare i conti con tutti, per giunta in austriaco, un paio di attori facevo proprio fatica a capirli. Alle 21:30 eravamo fuori dal cinema, senza rimpianti.

Avevamo deciso di andare a mangiare in un ristorante dal nome molto accattivante “Mädchen ohne Abitur” (“Ragazza senza maturità”), si trova vicino alla fermata di Südstern, nel cosiddetto “Graefekiez”, le strade intorno alla bella Graefestraße, tutta lastricata di sampietrini. Umidità altissima, nell’ora in cui eravamo stati dentro il cinema aveva anche piovuto. Ci eravamo dati appuntamento anche con Gloria che ha corretto per Mondadori la mia traduzione di “Halbschatten” che uscirà in settembre. Ci eravamo solo sentiti per telefono, lavorando al libro, ancora non ci conoscevamo e volevo che anche Uwe la conoscesse. Prendiamo la Körtestraße, dove si trova il ristorante, percorriamo duecento metri e Uwe – che era stato in quel ristorante due sere prima – me lo indica, ci mettiamo seduti, Gloria ancora non c’era, ordiniamo due birre e ci facciamo portare la carta. Cominciamo a sfogliare la carta e Uwe dice: “Ma non è mica questo il ristorante”, alzo gli occhi e vedo infatti che il locale si chiama “Maison Blanche”. Mi precipito nel locale, mi profondo in scuse, prego la cameriera di stornare le birre, abbiamo un appuntamento altrove, le dico. E ci rimettiamo in moto. Pochi metri dopo ecco il “Mädchen ohne Abitur”. Che è poi la ragione principale per cui racconto tutto questo. Se andate sul sito di quel ristorante http://www.maedchenohneabitur.de leggerete una storia molto interessante sulla nascita del locale. Lo avrebbe fondato un’attrice chiamata Rosita di Capri, pseudonimo di una certa Doris Bullenberg originaria di Rheda-Weidenbrück, una cittadina del Nordreno-Westfalia. A 16 anni Doris/Rosita lascia la scuola (Mädchen ohne Abitur!) per fare carriera nel mondo del cinema. Dopo il grande successo nel film “Geh, wenn du mich liebst, Angelino” (“Vattene, se mi ami, Angelino”) e la straordinaria interpretazione di una contadina schizofrenica in “Wo die wilden Wasser rauschen” (“Dove mugghiano le acque selvagge”) a fianco di Ted Baxter, la sua stella comincia a estinguersi, il successo lascia a desiderare e addirittura viene accusata di essere coinvolta nella morte del quarto marito Rinaldo Razzino, produttore della pellicola scandalosa “Schamlose Amazonen” (“Amazzoni svergognate”). Viene assolta, ma decide di girare le spalle al mondo del cinema e di darsi alla gastronomia, fondando il presente locale che diverrà un punto di incontro di attori e soubrette del démi-monde. Nel 1965 Rosita – durante un viaggio in Nuova Guinea – sparisce definitivamente, non senza aver fatto testamento e lasciato il locale a Rosi, una delle sue cameriere. Che decide di assumersi l’onere, di ribatezzare il locale con il nome attuale, salvo poi a sua volta sparire vent’anni fa senza alcun preavviso e mantenendo i contatti col mondo solo per via telefonica, anche se non mancano le voci che continui a condurre una vita normale nei pressi del locale e di tanto in tanto compaia in incognito. All’improvviso sono persino comparse le sue memorie e dopo lunga riflessione si è deciso di pubblicarle – seppur emendate dei nomi dei protagonisti per motivi di privacy.

Sul sito si possono leggere gli otto capitoli delle memorie. Andate a cercare i nomi – Rosita di Capri, Rinaldo Razzino – e i titoli dei film. Non li troverete. E’ tutto un fake. Nel ristorante si mangia bene, sia io che Uwe abbiamo preso un piatto che si chiama “Party bei Juhnkes” (“Party a casa Juhnke”, riferimento a Harald Juhnke, famoso attore ed entertainer tedesco noto negli ultimi anni per il suo alcolismo), in realtà fegato di vitello alla berlinese, con mele, cipolle e purè di patate. Gloria ha preso i “Königsberger Klopse”, con la salsa di capperi e le patate al sale. Questo piatto della tradizione tedesca nel nostro ristorante porta il nome “Das große Liebesspiel”, un film del 1963 con Lilli Palmer e Hildegard Knef. In italiano si chiama “Nude per amare”.

Matteo Galli

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