Diario berlinese 2: Kinos

Matteo Galli

Dal 2010 ho cominciato a collaborare con “Close-Up”, la rivista online di cinema, diretta da Giovanni Spagnoletti. Seguo la Berlinale e scrivo delle recensioni. E’ una gioia assoluta. Mi alzo la mattina, prendo la metropolitana o la bicicletta, vado a Potsdamer Platz, vedo quattro o cinque film, di solito riemergo verso le sette di sera; su uno/due film al giorno scrivo una recensione, la sera o la notte, per ricaricarsi bastano poche ore di sonno. Si vive in un mondo parallelo, le persone che continuano la loro vita normale ti sembrano animali strani, gli unici esseri che contano sono quelli a cui capitano le storie raccontate nei film.

L’attività culturale a Berlino nel mese di agosto è piuttosto moscia: tutti i teatri sono chiusi, la stagione dei concerti è ferma, qualche isolata “Lesung” (giovedì sera allo LCB Wilhelm Genazino presentava il suo ultimo libro insieme a Katja Lange-Müller, ma lo LCB è al Wannsee e da casa mia è almeno un’ora di viaggio, bisogna essere molto motivati…), “Tip” oppure “Zitty” hanno metà delle pagine che hanno di solito.

Ho proposto a Giovanni di fare l’inviato a Berlino per il mese di agosto. La rivista è in pieno “Sommerloch” e quindi potrei fungere da tappabuchi. Appena arrivato in città mi sono dato allo studio di “Tip” e ho selezionato un po’ di film da vedere. Ho inviato la lista alla redazione, ci sono una decina di film di lingua tedesca (fra tedeschi, austriaci e svizzeri) e cinque o sei film americani che a Berlino sono già usciti e in Italia usciranno in autunno. Mi diranno loro di cosa hanno bisogno, sto aspettando, intanto io al cinema ci vado.

Non vi parlo per ora dei film che ho visto, quello lo farò per “Close-Up” semmai, vi parlo dei cinema, prima di tutto dei cinema del Prenzlauer Berg. Ce ne sono 6. Ma in realtà sono molti di più perché tre sono multisale, nel “Filmtheater am Friedrichshain”, nel cosiddetto “Bötzowviertel”, ce ne sono quattro, nel “Kino in der Kulturbrauerei” ce ne sono otto, nel “Kolosseum” sulla Schönhauserallee ce ne sono addirittura 10. C’era un’altra piccola multisala, che si chiamava “Blow-Up”, si trovava in un vasto cortile, circondato di alti edifici in mattoni, rossi e gialli, architettura industriale di fine ‘800, in fondo alla Immanuelkirchstraße, quasi all’angolo con la Greifswalderstraße, accanto alla sede del Progress Film-Verleih, la casa di distribuzione che amministra il patrimonio cinematografico della DEFA (ci sono stato spesso a ordinare film o spezzoni di cinegiornali, ma anche perché lì accanto c’è una bellissima sala da biliardo) ma dall’ottobre del 2010 ha chiuso. Su un sito che si chiama kinokompendium.de si vengono a sapere tutte queste brutte notizie, leggo che per esempio da fine luglio un glorioso cinema di Berlino Ovest, il Bundesplatz Studio, ha chiuso perché un nuovo inquilino ha offerto un affitto maggiore. Non mi dilungherò a piangere straziato sui cinema chiusi, tipo “Im Laufe der Zeit” o “The Last Picture Show”. Ma parlerò di quelli aperti.

Quando uno pensa alle multisale – a quelle vere, non le due/tre sale ricavate da un vecchio cinema – è colto da orrore; di solito sono in luoghi assurdi, periferici, squallidi, a Firenze ce n’è una all’autostrada e una all’Isolotto, a Ferrara una sulla Darsena. Al Prenzlauer Berg invece c’è quella nella Kulturbrauerei, un edificio dai soffitti altissimi con una splendida scalinata, luminosa, tanta ghisa e tanto acciaio, sale grandi, poltrone spaziose, unico difetto il penetrante odore di popcorn. Non solo perché ce l’ho dietro casa, ma è un piacere andarci. Fra i tanti film che ci ho visto: la prima tedesca degli “Abbracci spezzati” di Almodovar, c’era anche Penelope Cruz con un lungo vestito verde, una meraviglia. Al Colosseum ci vado solo durante la Berlinale, perché qui presentano i film della “Perspektive deutsches Kino”; è forse il cinema che più corrisponde all’idea canonica della multisale, anche se poi è il cinema più antico del quartiere, un edificio del 1894, usato come deposito dei tram a cavalli, poi degli omnibus e poi dal 1924 come cinema, con 1000 posti. Ancora all’epoca della DDR, prima dell’inaugurazione dell’Intenational sulla Karl-Marx-Allee era il cinema in cui avevano luogo le prime di Berlino-Est. Adesso, come detto, ci sono 10 sale. Una storia analoga è quella del Filmtheater am Friedrichshain, anche se qui l’utilizzo è sempre e solo stato cinematografico: cinema popolare all’epoca del muto con grande buca per l’orchestra, cinema di propaganda durante il nazismo, cinema delle grandi prime durante la DDR, dopo la Wende è stato a rischio smantellamento, lo ha riscattato Michael Verhoeven (il regista della Rosa bianca e della Ragazza terribile).

Ma i miei due cinema preferiti nel Prenzlauer Berg sono ovviamente i più piccoli, il “Lichtblick” sulla Kastanienallee e il “Krokodil”, in fondo alla Greifenhagenerstraße, dietro la ferrovia. Il “Lichtblick” ha solo 32 posti, nella homepage viene raccontata la loro storia, prima (fino al 1997) erano in un’altra sede non molto distante, poi sono stati cacciati per lasciare spazio a una multisala, il titolare però è fallito, viene detto con una certa, malcelata “Schadenfreude”. Da allora sono nella sede attuale al civico 77 della Kastanienallee, già nel 1999 “Zitty” elesse il Lichtblick come migliore “Programmkino” di Berlino, il loro nume tutelare è Buñuel, il 22 febbraio celebrano sempre il suo compleanno con un paio di film, io ci ho rivisto a distanza di trent’anni “Zabriskie point” e “Anticristo” di Lars von Trier. Il “Krokodil”, invece, era in origine specializzato solo in cinema sovietico e russo, la homepage è infatti in tedesco e in russo, fra i finanziatori c’è la 007-Berlin, un’agenzia che sovvenziona le relazioni culturali Germania-Russia. Lo gestisce da solo, un quarantenne sassone, uno storico dell’arte che ha vissuto in Unione Sovietica. Adesso ha dovuto, per poter sopravvivere, ampliare la propria offerta, allargandosi al cinema dell’Europa Orientale o al cinema tedesco di provenienza DDR o post-DDR. 72 posti, molti incontri con registi, la cabina di proiezione in bella vista, come certe cucine di ristoranti nouvelle cuisine.

Resta da parlare delle “Flohkisten”, ma di questo un’altra volta.

Matteo Galli

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