Diario berlinese 1: Prachtstück

Matteo Galli

Non ho mai tenuto un diario. Non faccio neanche uso di agende, alleno così la mia memoria. Sarà, forse, perché è la prima volta che in agosto mi ritrovo da solo a Berlino, ho deciso di provare a raccontare quello che faccio qua. Rischi almeno due: prendersi troppo sul serio, pretendendo comunque di dare significato all’esperienza vissuta; vivere per raccontare, perdere spontaneità, sempre che esista. 

A Berlino vivo a casa mia. L’ho comprata nel 2007, un “Altbau” di fine ’800, all’epoca una rovina, poi ristrutturata con grande eleganza. Il prezzo consisteva in larga parte delle spese per i lavori di ristrutturazione, nel 2009 ci ho vissuto un anno, durante il sabbatico. La casa è a Prenzlauer Berg, a breve distanza dalle due piazze più note del quartiere, Kollwitzplatz e Helmoltzplatz. Da anni è buona norma sparare a zero contro Prenzlauer Berg: non è più quello di una volta, il quartiere bohémien degli anni ’80 e degli anni ’90, troppi “svevi” che si sono installati qua, troppi bambini con carrozzine carenate che poi, quando crescono, suonano il flauto, il fagotto e frequentano corsi di Feldenkrais, come scrive Rainald Grebe nella canzone satirica intitolata appunto “Prenzlauer Berg”, troppi negozi fighetti, troppa borghesia affluente, la “vera” Berlino è altrove: Kreuzberg, Neukölln, Friedrichshain, ben presto Wedding. Ma basta passare un po’ di tempo a Berlino e ti rendi conto che uno degli argomenti topici delle conversazioni è proprio questo: annusare i trend, facendo capire agli interlocutori che tu ne sai di più, che hai capito dove tira il vento, chi vive a Berlino dovrebbe traslocare ogni sei mesi. Se si tiene conto che oltre ai macroquartieri ci sono i cosiddetti “Kiez” (subquartieri, in alcuni casi: isolati) il barometro della moda oscilla di continuo.

Io non partecipo a questo gioco di società. Ogni volta che arrivo qua sono felice, il quartiere mi sembra bello, vivace e soprattutto molto vario, mi pare difficile ridurlo a una definizione coerente. Prendiamo solo i negozi sull’angolo fra le due strade su cui si affaccia la mia casa. Proprio sotto casa mia c’è un negozio di cose totalmente inutili, che ben corrisponderebbe all’immagine standard del quartiere, si chiama Pomeranza Design Ranch; malgrado la dichiarazione contenuta nella homepage di voler unire l’utile al dilettevole, in realtà vende solo inutili e carissimi soprammobili con un design fra l’ecologico e il pacchiano. Tutti i negozi al piano terra del mio edificio sembrano fatti apposta per confermare il cliché corrente sul Prenzlauer Berg: un fornaio con pochissimi prodotti, orari improbabili (dal martedì al venerdì, 10-16, ma vi pare possibile?) e ultra-caro, un parrucchiere. Quando, nel 2009, si installò un negozio di delikatessen dei benedettini polacchi dichiarai che quello sarebbe stato il primo a fallire. Così è stato. Adesso cercano inquilini per il fondo. Se n’è andato anche un negozio di borse che si chiamava Beuteltiere (Marsupiali) al suo posto proprio domani inaugurano un negozio di scarpe che si chiama “Prachtstück” (Esemplare di lusso), che prima aveva la sede nella Lettestraße a duecento metri da qui. Prachtstück organizza Schuhpartys per il dopolavoro: vuoi vedere la loro nuova collezione di scarpe esclusive, modelli pressoché unici spagnoli e italiani (numeri dal 36 al 41)? Nessun problema: il negozio organizza un after hours con un bicchiere di spumante per te e per le tue amiche della borghesia affluente berlinese. I prezzi non sono così alti, come la location lascerebbe prevedere. Puoi comprare anche online. Domani vado al vernissage.

Dall’altra parte della strada c’era un negozio di alimentari gestito da un greco corpulento e un tedesco segaligno e scattante, forse con ascendenze greche: ottima frutta e verdura, formaggi di qualità, salsine mediterranee varie (tarama, hummus), uova fresche, persino pasta De Cecco e salsa di pomodoro Mutti, un po’ caro, ma roba di prima scelta. Chiuso, questo è stato il primo grande schock al mio arrivo. Al suo posto, non ci crederete, l’orrendo Schlecker, un vero segno di decadenza, ma che dal mio punto di vista è un segnale della non omologabilità del quartiere, perché Schlecker poco ha a che fare con l’idea fighetta del Prenzlauer Berg. Ieri ho cominciato qualche ricognizione nel quartiere per capire dove comprare la frutta. Ho comprato un chilo di pesche tabacchiere da un vietnamita sulla Raumerstraße, quattro euro, il doppio del mercato delle Cure a Firenze e qualità molto mediocre. La ricerca continua.

Di fronte a Schlecker c’è un locale messicano che si chiama “Girasol”, niente di che, ci ho mangiato un paio di volte, piatti molto carichi, messicano in salsa tedesca, organizza come tutti i locali del quartiere, il sabato e la domenica mattina, dei sontuosi brunch, ai quali le prime volte che venivo da queste parti mi sentivo in dovere di andare, in realtà mangi più di quanto hai bisogno, la roba è spesso fredda e di qualità mediocre. Niente più brunch: neanche nei due locali più noti del quartiere “Anna Blume” (caffè, pasticceria, e fioraio) e “Sowohl als auch” (caffè, ottimo fornaio e negozio di delikatessen). Dall’altra parte della strada c’è una libreria molto carina, si chiama Buchreigen, che sarebbe come dire girotondo di libri. Tiene libri nuovi ma anche libri usati, il modello è una via di mezzo fra il second hand e la biblioteca circolante.

La varietà del Prenzlauer Berg, appunto.

Matteo Galli

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