Victor Klemperer, E così tutto vacilla

[In questi giorni la casa editrice Giuntina ha pubblicato una nuova edizione del classico di Victor Klemperer LTI. La lingua del Terzo Reich. Segnalo la recensione di Gian Enrico Rusconi apparsa su La Stampa e ripropongo qui sotto la mia recensione a un altro libro di Klemperer, E così tutto vacilla. Diario del 1945, pubblicato lo scorso anno da Libri Scheiwiller, tratta dall’Indice.]

Dresden in den Tagen der Bombenangriffe (via sputnik.de)

Michele Sisto

Dresda, gennaio 1945: «I russi davanti a Cracovia, i bombardieri angloamericani sopra di noi, la Gestapo alle nostre spalle», annota nel diario Victor Klemperer, ben noto al lettore italiano per la sua LTI. Lingua Tertii Imperii (Giuntina 1998), chirurgica dissezione del linguaggio del Terzo Reich. Quando scrive queste righe Klemperer ha sessantaquattro anni, da dieci ha dovuto lasciare la cattedra di letteratura francese e solo il matrimonio con l’ariana Eva Schlemmer lo ha salvato – temporaneamente – dal campo di sterminio. Nella notte del 13 febbraio Dresda è in fiamme, devastata dalle bombe: quando inizia il rastrellamento degli ultimi ebrei Klemperer si strappa dal cappotto la stella, fugge. Alla fine di aprile, mentre l’Armata rossa entra a Berlino, si trova nei pressi di Monaco, passa la notte in un alloggiamento delle SS ormai abbandonato: «nella stufa bruciava il ritratto di Hitler – scrive –; è una gioia vivere». Il 10 giugno è di nuovo a Dresda, nella zona sovietica, un paesaggio di rovine. Qui si interrompevano i diari 1933-45 Testimoniare fino all’ultimo pubblicati da Mondadori nel 2000 a cura di Anna Ruchat e Paola Quadrelli: un torso imponente, che insieme all’autobiografia Curriculum vitae. Ricordi di un filologo (1881-1918) e ai diari ancora inediti in Italia – Collezionare la vita, non chiedersi a che scopo e perché (1919-1932) e Così me ne sto tra color che son sospesi (1945-1959), nel complesso oltre cinquemila pagine – costituisce una straordinaria cronaca in soggettiva della storia tedesca da Guglielmo II a Ulbricht.

Raccogliendo dunque il testimone di una coraggiosa impresa editoriale, Libri Scheiwiller rende accessibili in italiano anche gli ultimi sei mesi di questo 1945, che più ancora dei primi sei documentano una cesura epocale per lo scrivente come per l’Europa intera. Dismesso l’abito dell’uomo con la stella, le cui giornate erano riempite dalla paura, il diarista ancora non indossa le vesti accademiche del Prof. Klemperer, e in questo intermezzo d’incertezza sociale emerge, come recita con un motto di C. F. Meyer, «l’uomo con la sua contraddizione». Le pagine sono attraversate da una tensione interrogativa, quasi una suspence: la vittima sarà risarcita? i carnefici saranno puniti? Dalla risposta a queste domande dipende il giudizio sulla storia, e sul nuovo potere che si sta organizzando nella Germania orientale.

Fin dai primi giorni si ha la percezione che Klemperer vi avrà una parte non marginale: è assediato da visite, profferte di amicizia, richieste di referenze da parte di ex-membri del partito nazista; ma i segnali dall’alto sono tardi e contraddittori. Viene da pensare allo Štrum di Vita e destino, altra figura di intellettuale ebreo in balia degli arbitrii dello stalinismo. Klemperer appare dominato da tre preoccupazioni: riottenere il suo posto, pubblicare LTI, e che i nuovi governanti «facciano pulizia» dei nazisti senza compromessi. Soprattutto per questo si avvicina al Partito comunista, la KPD. «Non voglio decidere – scrive – sulla base di un sentimento che è altalenante, non voglio decidere secondo il puro ideale ma secondo un freddo calcolo, qual è la cosa migliore per la mia situazione, la mia libertà, la mia opera da scrivere e in questo modo sarò comunque al servizio del mio compito ideale; sedersi sul cavallo giusto. Qual è quello giusto? La giostra dei petits chevaux continua a girare. Russia? Stati Uniti? Democrazia? Comunismo? Professore in servizio? Emerito? Impolitico? Con un ben preciso orientamento politico? Punti di domanda, uno dopo l’altro». Ai funzionari della KPD rimprovera di essere «troppo teneri» coi borghesi, ma i sovietici lo deludono per le violenze, le spoliazioni, la politicizzazione delle notizie, fino a farlo sbottare: «Se non fossi ebreo, mi calerei nelle anime dei Freicorp», quei Freicorp che trent’anni prima avevano assassinato non solo i comunisti Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, ma anche il liberale Walther Rathenau.

Peter Demetz ha osservato che le debolezze umane e ideologiche di Klemperer, già note dai precedenti diari e da lui stesso analizzate con rousseauiana onestà, risaltano tanto più evidenti e problematiche alla luce del suo tentativo di assicurarsi una carriera nella DDR. In effetti solo dopo aver ottenuto la nomina a professore ordinario Klemperer fa  richiesta di adesione alla KPD; una volta iscritto al partito gli viene affidata la direzione scientifica dell’Università popolare, pubblica LTI per la principale casa editrice del paese (Aufbau: dodici edizioni tra il 1947 e l’87), diventa professore ordinario a Halle, delegato del Kulturbund al parlamento della DDR, membro dell’Accademia delle scienze, riceve l’Ordine al merito. Opportunismo?

Antonio Moresco, nella sua notevole prefazione, nota che Klemperer «non ha nulla del testimone senza macchia e senza paura» e che c’è in lui «qualcosa di spiazzante, di scomodo, addirittura, a volte, di irritante e inaccettabile». (Anche se poi, nel generoso tentativo di dare del diario «una lettura viva e agente anche oggi», l’autore di Lettere a nessuno, lascia da parte proprio questo aspetto e immagina un Klemperer engagé, che se vivesse nell’Italia di oggi denuncerebbe la «necrosi del tessuto della vita politica», le «leggi razziali», la «allucinante restaurazione»…)

Klemperer non ha la coerenza politica né la forza visionaria del suo pressoché coetaneo Lukács. Perfino la sua intransigenza nel pretendere la condanna dei professori compromessi col nazismo, come Johannes Kühn, si stempera dopo qualche mese nella proposta di concedere al collega quantomeno un posto da bibliotecario. L’origine di questo habitus, teso tra scientifica sospensione del giudizio e cauto conformismo, va cercata meno nelle debolezze soggettive di Klemperer che nella storia della sua classe, la borghesia, e della sua corporazione, quella degli accademici tedeschi, il cui ambivalente rapporto col potere è stato convincentemente analizzato da Pier Carlo Bontempelli nella sua Storia della germanistica. L’efficacia del diario sta proprio nell’understatement, nella pedanteria di un professore tedesco un po’ filisteo, che nell’ostinarsi sera dopo sera a scrivere il suo diario «senza chiedersi a che scopo e perché» erige un monumento alla propria epoca e alla propria classe. Diversamente dal Brecht del Diario di lavoro, Klemperer non scandaglia le dinamiche profonde della storia, ma si attiene alla superficie; si fa sismografo di un tempo terremotato, registrandone le scosse a partire dalla propria postazione individuale. Il passaggio di due libri – uno Schiller e un Nietzsche – dalla biblioteca di un giudice nazista alle sue mani e poi in quelle di un amico comunista gli fa constatare ad esempio: «il concetto di proprietà privata si sta perdendo completamente: non piango le mie cose che ho perduto o che sono bruciate, così come prendo possesso di mobili e libri altrui, “confiscati” senza particolare emozione».

Il diario è come un archivio, ogni pagina è un documento: come ben sanno gli storici quasi mai la singola carta testimonia la verità, ma può rivelarla se posta in relazione con le altre. Nell’accumularsi dei giorni e delle parole si genera, come in una dinamo, una potenza imprevedibile, che a tratti si scarica trasformando una frase di per sé innocua in una sconcertante illuminazione di ciò che è stato.

Michele Sisto

Victor Klemperer, E così tutto vacilla. Diario del 1945, a cura di Anna Ruchat, Milano, Libri Scheiwiller, 2010, 616 p.

da: L’Indice dei libri del mese, 2010, n. 11

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