Confini. Su letteratura e geopolitica

Immagine via Welt-Atlas.de

Michele Sisto

La letteratura austriaca non esiste, ho pensato mentre ascoltavo le relazioni del seminario, e non esiste nemmeno la letteratura tedesca. Esiste, invece, credo, una letteratura di lingua tedesca.

Certo, se si vuole studiarne la storia occorre tener conto della temporanea esistenza di formazioni politiche più o meno statuali come le città libere dell’Hansa, il ducato di Weimar, il regno di Prussia,  l’Austria-Ungheria, la Confederazione elvetica, il secondo e il terzo Reich,  la Repubblica democratica tedesca, la Repubblica federale austriaca, la Repubblica federale tedesca eccetera eccetera eccetera.

È legittimo ricostruire, con Bourdieu, la struttura del (sotto)campo letterario della DDR o, con Foucault, lo spazio discorsivo della Germania riunificata: anzi, è indispensabile a comprendere le traiettorie degli autori e le condizioni di produzione dei testi. Ma è ozioso, mi sono detto, e fuorviante, ho insistito, affannarsi alla ricerca del carattere nazionale di una letteratura, o nel determinare l’appartenenza di un autore – peggio: di un testo! – ai confini di uno Stato. Non è opportuno, per uno storico della letteratura, prendere le parti dello Stato, anche se di norma è uno Stato (spesso proprio quello Stato) a garantirgli uno stipendio e una posizione sociale. (Poteva farlo De Sanctis, allorché il regno d’Italia era in gestazione o appena nato, noi non più.)

Del resto, ho anche pensato, della letteratura di lingua tedesca fanno parte a pieno titolo anche le traduzioni da altre letterature. Né solo quelle eseguite da scrittori riconosciuti come l’Antigone di Hölderlin o il Fortini di Enzensberger. Per fortuna, ho pensato, gli scrittori di lingua tedesca non leggono, né hanno mai letto, soltanto scrittori di lingua tedesca. Anzi. Per lo sviluppo della letteratura di lingua tedesca le traduzioni da Baudelaire e da Tolstoj sono probabilmente più decisive di tutta la produzione di Stefan George o di Hermann Hesse. La letteratura di lingua tedesca, e così ogni letteratura, ho pensato, non dev’essere concepita come un sistema a tenuta stagna, ma  come un sistema aperto, che si alimenta e si tiene in vita non anche, ma soprattutto grazie agli apporti che provengono da fuori dei suoi confini linguistici e statuali.

Sarebbe bello, un giorno, mi sono detto, poter leggere una storia della letteratura di lingua tedesca non semplicemente comparata, ma integrata a quella delle altre letterature. Una storia in cui ciò che viene importato dall’esterno abbia – come ha di fatto – almeno lo stesso rilievo di ciò che si produce all’interno (della lingua, della tradizione, dei confini). Una storia i cui capitoli non ricalchino le divisioni statuali (La letteratura della Repubblica federale, La letteratura austriaca) ma i grandi mutamenti di paradigma economici, politici ed estetici che riguardano non solo la letteratura di lingua tedesca ma – in  misura e forme diverse – tutte le letterature, mantenendole come in una ininterrotta conversazione.

Chi leggerà quella storia, ho pensato, potrà avere una percezione più esatta della storia della letteratura di lingua tedesca e dei suoi mutamenti, priva delle distorsioni che derivano dalla riduzione della sua ricchezza a un ristretto canone nazionale di autori e testi tedeschi.

Questa storia integrata della letteratura tedesca, insieme ad altrettante storie integrate delle altre letterature, mi sono detto, contribuirebbe inoltre assai pragmaticamente alla costruzione di una coscienza almeno europea, ma meglio transnazionale della letteratura, superando (e consegnando alla storia) i paradigmi nazionalistici entro cui si sono formate le discipline letterarie a partire, grossomodo, da duecento anni fa. E magari restituirebbe allo studio della letteratura e della sua storia almeno un po’ di quel senso che oggi  sembra essere irrimediabilmente venuto a mancare.

Michele Sisto

This entry was posted in Appunti, Michele Sisto and tagged , , , , , , , . Bookmark the permalink.

One Response to Confini. Su letteratura e geopolitica

  1. michele sisto says:

    Pensavo, al seminario. Poi ho letto questo:

    [In a polysystemic approach] standard language cannot be accounted for without putting it into the context of the non-standard varieties; literature for children would not be considered a phenomenon sui generis, but related to literature for adults; translated literature would not be disconnected from original literature; mass literary production (thrillers, sentimental novels, etc.) would not simply be dismissed as “non- literature” in order to evade the recognition of its mutual dependence with “individual” literature.

    Further, it may seem trivial, yet warrants special emphasis, that the polysystem hypothesis involves a rejection of value judgments as criteria for an a priori selection of the objects of study. This must be particularly stressed for literary studies, where confusion between criticism and research still exists. If one accepts the polysystem hypothesis, then one must also accept that the historical study of literary polysystems cannot confine itself to the so-called “masterpieces”, even if some would consider them the only raison d’être of literary studies in the first place. This kind of elitism cannot be compatible with literary historiography just as general history can no longer be the life stories of kings and generals. In other words, as scholars committed to the discovery of the mechanisms of literature, there seems to be no way for us to avoid recognizing that any prevalent value judgments of any period are themselves an integral part of these mechanisms. No field of study, whether mildly or more rigorously “scientific”, can select its objects according to norms of taste.

    Etamar Even-Zohar, Polysystem Theory [1990], in Polysystem Studies, p. 13.

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *