Hotel Schopenhauer

Wanderer above a sea of fog: in Singapore, London & Paris, via dreamsyntax

György Lukács

La filosofia di Schopenhauer rifiuta la vita in ogni sua forma e le contrappone come prospettiva filosofica il nulla. Ma è possibile vivere una vita di questo genere? Se consideriamo la filosofia di Schopenhauer come un tutto, bisogna rispondere senza esitazione di sì. Poiché l’assurdità della vita significa anzitutto liberazione dell’individuo da tutti i doveri sociali, da ogni responsabilità di fronte allo sviluppo progressivo dell’umanità, che agli occhi di Schopenhauer neppure esiste. E il nulla come prospettiva, il pessimismo come orizzonte di vita, secondo l’etica schopenhaueriana già esposta, non può affatto impedire, e nemmeno rendere difficile all’individuo, una condotta di vita piacevole e contemplativa. Anzi, l’abisso del nulla, il tetro sfondo dell’assurdità dell’esistenza, non fanno che aggiungere un fascino piccante a questo godimento della vita. Questo fascino viene ulteriormente accresciuto dal fatto che lo spiccato aristocratismo della filosofia schopenhaueriana innalza i suoi seguaci, nella loro immaginazione, di gran lunga al di sopra di quella plebe miserabile che è così ottusa da lottare e soffrire per il miglioramento delle condizioni sociali. Così il sistema di Schopenhauer, costruito, dal punto di vista architettonico formale, con molto ingegno e senso della composizione, si erge come un elegante e moderno hôtel, fornito di ogni comodità, sull’orlo dell’abisso, del nulla e dell’assurdità. E la vista giornaliera dell’abisso, fra piacevoli festini e produzioni artistiche, non può che accrescere il gusto di questo confort raffinato.

da: György Lukács, La distruzione della ragione [1954], trad. di Eraldo Arnaud, Torino, Einaudi, 1959, rist. con introduzione di Elio Matassi, Milano, Mimesis, 2011, pp. 247-248

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2 Responses to Hotel Schopenhauer

  1. domenico pinto says:

    Grand Hotel Abgrund…
    Non lo diceva anche a proposito dei francofortesi?

  2. michele sisto says:

    Sì, di Adorno in particolare. Ma la prima formulazione di questa metafora così scintillante (cosa rara in L.) avviene a proposito di Schopenhauer. In rete si trovano riferimenti a un saggio del 1933, che parrebbe addirittura intitolato Grand Hotel Abgrund, ma credo sia un errore. Quel che è certo è che nell’introduzione del 1962 alla Teoria del romanzo L., citandosi, scrive: “Una parte considerevole della migliore intellighenzia tedesca, fra cui lo stesso Adorno, ha preso alloggio – come scrissi in una mia critica a Schopenhauer – presso il ‘Grand Hotel dell’Abisso’, un ‘bell’Hotel, fornito di ogni comfort, sull’orlo dell’abisso, del nulla e dell’insensato. E la visione giornaliera dell’abisso, tra produzioni artistiche e pasti goduti negli agi, può solo accrescere la gioia procurata da questo raffinato comfort'” (trad. di Giuseppe Raciti, Milano, SE, 2004, p. 20). Sarà banale, ma rileggendo queste parole nella ristampa Mimesis della Distruzione della ragione ho avuto l’impressione che ci riguardino ancora oggi.

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