L’Indice su Christa Wolf

[La redazione dell’Indice dei libri del mese ha raccolto sul suo sito le recensioni dedicate ai libri Christa Wolf dal 1984 al 2002. Riportiamo qui quella di Anna Chiarloni a Cassandra. Una bibliografia degli studi critici italiani sulla scrittrice è disponibile nei materiali di germanistica.net.]

Anna Chiarloni

Su Cassandra, il racconto di Christa Wolf pubblicato dalle Edizioni e/o con una ricca introduzione di Anita Raja, molto è già stato scritto. E la recente tournée in Italia della scrittrice ha dato luogo a interviste e dibattiti in cui si è ampiamente discusso sui temi portanti del racconto: femminismo e pacifsmo. Tuttavia Cassandra resta una lettura non facile perché si tratta di un testo che conclude un percorso organico di cui le Premesse – non ancora pubblicate in Italia – costituiscono la parte iniziale. Recentemente la Wolf mi esprimeva la sua preoccupazione per questa sorta di smembramento del testo, avvenuto anche nella Germania Federale dove Luchterhand – per ragioni di mercato – ha pubblicato le Premesse e il racconto in due collane diverse.

Mentre nella Rdt, dove a un anno di distanza il tutto è uscito in un unico volume, il testo è stato tuttavia mutilato di certe sessanta righe ritenute troppo scottanti. A ben guardare una vicenda editoriale paradigmatica: la parola viene condizionata a est da dispositivi ideologici, a ovest dalla legge del mercato. Vediamo allora di riprendere da capo il discorso della Wolf partendo appunto dalle Premesse. Intanto perché una ricerca intorno a Cassandra? Protagonista di una parabola complessa, Cassandra è la prima figura femminile che entra nella storia svincolata da un rapporto di relazione con l’uomo: la prima donna professionista, nota la Wolf. Non quindi espressione di un’esogamia, non moglie o amante bensì veggente, votata alla solitudine della testimonianza. Ma la capacità profetica di Cassandra non deriva dal mitico dono divino, bensì dal suo saper leggere la realtà che la circonda, dal suo riannodare quei saperi del corpo che il processo di astrazione intellettuale – base, come c’insegna Freud, delle società patriarcali ha successivamente cancellato.

Nelle Premesse sono chiaramente esplicitate tutte le connessioni con il presente: la voce di Cassandra si leva da un passato in cui allignano le radici di una violenza che determina oggi l’inquietante minaccia di un conflitto nucleare, mentre l’esplorazione di tremila anni di storia diventa rivendicazione incalzante di uno sguardo diverso, di una scrittura tesa a scompigliare l’ottica delle forme convenzionali maschili. “Qual è allora il senso della scrittura femminile?” si chiede la Wolf. E l’interrogarsi su questo problema ha un suo immediato, provocatorio riflesso formale. Come in altre opere precedenti – L’ombra di un sogno e Nessun posto. In nessun luogo – ma ora in maniera più programmatica, saggio e racconto si correlano in un tessuto polimorfico, che mira a mettere in evidenza la diffcoltà dell’io femminile a inscriversi nei moduli letterari tradizionali, che denuncia la tensione tra gli schemi convenzionali e il fremere di un messaggio soggettivo irriducibile a qualsiasi poetica istituzionale.

Tutto questo, collocato nella sua humus originaria – la Rdt – diventa certo più polemico: “Non c’è e non può esserci una poetica – scrive la Wolf – che eviti alla viva esperienza di innumerevoli soggetti di venire uccisa e sepolta nell ‘oggetto artistico”. Di qui nasce la necessità di uno scarto, di un dichiarato rifiuto delle regole del gioco: “Non posso offrirvi poetica alcuna”, leggiamo nelle prime pagine delle Premesse. A buon intenditor poche parole. È dunque in questo spazio negato e sottratto a un’organizzazione dirigistica della cultura che la Wolf costruisce la sua estetica al femminile, così come Cassandra, nel racconto, sperimenta una solidarietà sotterranea e clandestina nella comune lungo lo Scamandro, in opposizione al palazzo di Priamo, simbolo di un potere onnivoro e accentratore.

Da questo terreno eterogeneo e mutevole, su cui passato e presente continuamente si accavallano, la Wolf lancia strali destinati a investire tutta la cultura occidentale: “Che alle donna sia stato negato per millenni di partecipare alla cultura non è solo un fatto vergognoso e ignobile per le donne ma, a ben guardare, costituisce anche quel punto debole che fa sì che la cultura tenda ad autodistruggersi”. E nel racconto è appunto la graduale esclusione delle donne dal governo di Troia che segna l’inizio di un’involuzione storica. Cassandra è infatti un soggetto in transito tra due culture: il regno di Priamo ha ormai una struttura patrilineare ma la madre Ecuba, che proviene dalla società matriarcale dei locresi ha ancora un suo ascendente negli affari di stato. E ancora è in uso la successione dinastica attraverso il ratto di una principessa di casa reale (Elena), traccia debole e perversa di un tempo in cui era la donna che consentiva l’accesso al trono. Mentre sul piano rituale nuovi culti maschili, gerarchici e digrignanti soppiantano quei miti riti agresti e femminili che l’ideologia della conquista ha sepolto nel silenzio del tempo.

Gradualmente Troia, mirando alla supremazia sull’Ellesponto, scivola verso un’etica della violenza che, secondo la Wolf, a partire dai Greci si radica nella nostra coscienza. Ancor prima che inizi la guerra il declino morale si manifesta con valenze diverse: la mercificazione dei sentimenti, il cinismo della ragion di stato, le tattiche occulte del potere che si annidano in un lessico di cui il lettore tedesco coglie immediatamente tutti i riferimenti con il presente. Ma se l’antica poesia epica ha cantato esaltandole le cruente gesta degli Achei allora è di qui che, secondo la Wolf, deve incominciare la revisione critica di tutta la nostra cultura, proprio perché essa si fonda sulla florificazione del gesto eroico, sul culto dell’azione violenta e perciò inevitabilmente disumana e alienante.

Come scrivere oggi “il rovescio di una cultura” brutale e sanguinaria? Chi si contrappone nel racconto al rantolo libidinoso di “Achille la bestia?” Non certo Pentesilea, simbolo di un separatismo intransigente, che alla violenza del maschio non oppone che una violenza suicida. Non Polissena o Briseide, che troppo docilmente si lasciano usare come strumento dell’astuzia maschile. Cassandra invece rappresenta il tentativo (Versuch: termine caro alla Wolf) di riannodare le fila recise da un potere subdolo e coercitivo, che si è insinuato nelle categorie stesse del pensiero, veicolando un’ideologia di falso progresso, un tentativo che le impone di abbandonare i privilegi sociali e gli affetti familiari perché sarà solo lontano dalla cittadella del potere, tra le donne, gli emarginati e i vinti che essa troverà se stessa, nel breve spazio di tempo che precede la morte.

Al virile epos eroico che da Omero a Goethe esalta il maschio d’azione come unico protagonista la Wolf oppone dunque una poetica dell’atto mancato, del dolore e del silenzio. E provocatoriamente, guardando alla storia della letteratura, essa dichiara di non trovare alcun punto di riferimento: “Noi donne non abbiamo modelli validi, questo ci costa tempo, ritardi, errori. Ma non è solo uno srantaggio”. Per la Wolf è quindi oggi un dovere morale rintracciare il debole filo della scrittura delle donne, perché esse “per motivi storici e biologici vivono una realtà diversa. La realtà di chi è oppresso da secoli ma che – e quindi il tono si fa ben più battagliero di quello della Bachmann, che pure la Wolf volentieri cita – finalmente tende all’autonomia, al rifiuto a integrarli nell’attuale folle sistema dominante, fatto di barriere, confini, censure e intimidazioni reciproche”.

Dunque la scrittura femminile, se riflette il rifiuto di quella violenza che il maschio ha ormai interiorizzato, non può che scompigliare l’ottica delle forme convenzionali, espellendo dal proprio ordito la figura dell’eroe che tradizionalmente fonda la struttura portante della narrazione stessa. Per questo alla fine del lungo monologo, che non a caso ha l’andamento circolare dell’anamnesi, Cassandra non segue Enea, che pure essa ama: la veggente segna la sua presenza restando ai margini di una trama eroica che sfreccia impudente verso la storia, recisamente negando il tracciato che il progresso ci ha trasmesso. E la sua scelta indica la ricerca di un’istintuale matrice originaria, senza nome e senza volto, ma anche franca da ogni forma di violenza.

Anna Chiarloni

Christa Wolf, Cassandra, edizione originale 1983, traduzione dal tedesco e postfazione di Anita Raja, Roma, E/O, 1984

da: L’Indice, 1984

This entry was posted in Anna Chiarloni, Segnalazioni and tagged , , . Bookmark the permalink.

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *