“Ein weites Feld”, ovvero della ‘modesta hilaritas’ di Günter Grass

Anna Chiarloni

Ils se completent moralement l’un par l’autre
Flaubert, Bouvard et Pécuchet

1. Disegno a penna con due figure

Ein weites Feld è  il romanzo che Günter Grass dedica alla riunificazione tedesca. Ambientato a Berlino Est fra il  1989 e  il  1991, il testo dichiara il suo impianto ludico fin dall’incipit: i due personaggi principali  sono presentati   come Fonty  e la sua Ombra Perenne, alias Hoftaller [1]. Chi sono costoro? Stando ai documenti, ammicca lo stesso autore,  il primo è Theo Wuttke, un  fattorino settantenne della Germania orientale  specializzato in conferenze su  Theodor Fontane  per il Kulturbund, attività che gli ha consentito di compensare un’esistenza minore, ai margini dell’apparato culturale,  grazie a un’identificazione quasi totale con il grande scrittore  del realismo tedesco, a sua volta celato da Grass nella definizione di “Immortale” [2].

Di qui l’infinita massa di citazioni che  a partire dal titolo creano all’interno del testo un effetto diacronico di  risonanza tra la Germania nei giorni della riunificazione e gli anni bismarckiani dell’unità tedesca. Non mi soffermo su questo continuo, a volte faticoso controcanto letterario [3], organizzato con un incessante andirivieni di Fonty attraverso romanzi ed epistolari  di Fontane,  se non per segnalarne lo scopo: quello di istituire un sarcastico parallelo tra la truculenta era guglielmina e la Germania del cancelliere Kohl [4].

Ritorniamo al gioco letterario. Di natura ancor più citazionale, o se si vuole postmoderna,   è il secondo  personaggio, la spia di nome  Hoftaller, la cui vita anteriore – è  ancora  Grass che parla – “era arrivata sul mercato librario occidentale nel 1986 sotto il titolo Tallhover”, un romanzo – aggiungo io per i non germanisti,   di Joachim Schädlich, scrittore orientale dissidente – centrato sulla figura di uno sbirro prussiano. Hoftaller rappresenta quindi un’edizione aggiornata di Tallhover, è infatti un  emissario della Stasi, i  famigerati servizi di sicurezza  della Ddr che Grass, a differenza di altri autori [5],  e  anzi con un’operazione  del tutto controcorrente,  spoglia di qualsiasi ferocia [6].

Siamo nel dicembre  del  1989, il muro è caduto, il marco dell’Est viene cambiato dieci a uno con quello dell’Ovest –  dettagli della liquidazione in corso della Ddr che Grass registra con  polemica  precisione  linguistica [7]. Il vecchio apparato orientale sta cadendo a pezzi ma Hoftaller – prodotto doc di  quel sistema – non è affatto  un pezzo d’antiquariato socialista, al contrario si rivela essere un abile  subacqueo della politica  tedesca:  da sempre ammanigliato  con i servizi segreti occidentali, assiduamente frequentati sotto il nome di Revolat – il  palindromo allude a una germanica, mimetica   simmetria poliziesca [8] – procede ora impavido attraverso la riunificazione, certo d’inserire  il suo nome nella locandina dello spionaggio europeo.

Un giallo dalle fosche tinte politiche? Niente affatto. Al contrario il testo –  grazie all’andamento colloquiale e  a una sua implicita, se pur pacata  comicità – ha tutti i tratti della commedia, anche se echi sinistri filtrano dalle quinte della memoria tedesca  annidandosi nel  presente.  Diciamo subito che  Hoftaller è il vero oggetto dell’aggressione ludica di Grass, mentre Fonty, se pur  di spina dorsale non proprio robusta,  ha la simpatia dell’autore e talvolta ne è  addirittura  il  portavoce. Lo si coglie bene nella sua recalcitrante  insofferenza  per la riunificazione, condensata nella battuta: “In Germania l’unità ha sempre mandato a puttane la democrazia!” (42) che rispecchia la posizione ripetutamente enunciata da Grass nei saggi pubblicati a ridosso della svolta [9]. Fonty:  la stessa  forma diminutiva del nome rivela  il segno tenue e affettuoso con cui Grass  ritrae  un uomo sottomesso agli eventi, sì, ma anche  capace di colti guizzi ribelli, diffidente di successo e denaro, uno dei tanti insomma che in quel sogno di una società diversa ci avevano creduto e che ora si ritrova sbalestrato in una nuova era, privo di qualsiasi  trucco pirandelliano [10], con addosso, anzi,  quella vestaglia infeltrita cavata da vecchie coperte militari russe, pronta a denunciare al mondo il suo status di Ossi [11].

Mi soffermerò dapprima sul sistema dei personaggi, in particolare sul tiro a due  Fonty-Hoftaller –  disegnato con grande cura dalla penna di Grass – per rilevare la funzione del tratto umoristico e il suo repentino ribaltarsi  nel richiamo alla  storia tedesca.  Vedremo poi  due snodi narrativi:  le nozze della figlia Marta e i trascorsi francesi di Fonty.

I due protagonisti entrano in scena  in una  Berlino in cui i “picchi muraioli” – questo l’accattivante titolo del primo capitolo [12] – ossia  gli extracomunitari  reclutati per   smantellare  il muro, destinano i frammenti con tanto di certificato “Original Berliner Mauer” alla lesta industria del souvenir pantedesco. I  due avanzano sul proscenio del romanzo alla maniera di Bouvard e Pécuchet [13] enunciando un’immediata comicità nei movimenti:

Un giorno d’inverno di un freddo pungente […] scesero  anch’essi in campo, risoluti, all’angolo della Otto-Grotewohl con la Leipzigerstraße: alto e magro accanto a basso e largo. Il profilo dei cappelli di feltro scuro e dei cappotti di misto lana grigio si fondeva in un insieme (Einheit)  dalle dimensioni via via crescenti. L’entità  che si avvicinava accoppiata sembrava inarrestabile. Già avevano superato il Palazzo dei Ministeri, più esattamente il  suo lato nord. Ora gesticolava la metà alta, ora la metà bassa. Poi l’eloquio di entrambi scaturiva da mani fuoruscenti larghe maniche, l’uno nello slancio delle falcate, l’altro nell’affanno dei passettini.  […] Restavano così, avanti e indietro l’uno rispetto all’altro, eppure erano concresciuti l’uno nell’altro, una sola figura [14].

Sembra l’immagine di un film muto di ascendenza chapliniana, segnata da quella  meccanica disarmonia che sappiamo caratteristica della tradizione comica [15].

Figure di un teatrino d’ombre, scrive più avanti lo stesso autore. Osserviamole  da vicino. Marcato  è l’aspetto inerme  della coppia: due vecchi, Fonty  smilzo e canuto, le “pile ormai esaurite”, il  bastone da passeggio e lo scialle scozzese avvolto attorno alle spalle; Hoftaller tarchiato e calvo “come un puntaspilli”, con la borsa rigonfia di thermos, ombrello e gavetta. Occhieggia insomma un altro  degli ingredienti classici della comicità, la Leiblichkeit – quell’aspetto creaturale che Grass sostiene nel testo attingendo a una comunella di cene, sbronze e scorregge tanto più che Hoftaller è capace di estrarre all’occorrenza dalla sua bisaccia una bottiglia di (pessimo) vino rosso. Una fisicità  allusiva di   un livello basso, popolare, che sentiamo caro all’autore. Anche quando di fronte alle macerie del muro, Hoftaller ripercorre le cesure  storiche della Ddr [16] la nota prevalente è quella legata al corpo, dal riso sconnesso al passo incerto nell’urgenza senile della minzione, fino all’approdo dei due nel McDonald’s con menu Chiken McNuggets e Coca-Cola, un classico delle  modeste  scampagnate domenicali per gli Ossi in cerca di aroma occidentale [17].

Il passo citato annuncia tuttavia una sorta di verdetto che lavora come un basso continuo in  tutto il romanzo [18]: “concresciuti l’uno nell’altro, una sola figura”, scrive Grass – ossia cultura e repressione, letteratura  e   censura formano un corpo unico. Nella Ddr? In Germania? Lasciamo la domanda in sospeso. Certo è che lo scrittore  lavora lungo due binari: da un lato attraverso la coppia  Fonty-Hoftaller  affronta con una sorta di ironica bonomia il complesso rapporto tra intellettuali e potere in quella Ddr che, compromessa dalle rivelazioni emerse con l’apertura degli archivi della Stasi,  gran parte della stampa occidentale  liquidava nei primi anni Novanta come Unrechtsstaat. In  questo senso l’umorismo ha una valenza ribelle, di disordine se non di rottura  rispetto all’opinione politica dominante. Dall’altra Grass, attraverso l’amplificazione letteraria che sdoppia  Fonty e Hoftaller proiettandoli sullo sfondo della Germania ottocentesca, s’interroga sulla storia degli intellettuali tedeschi tout court.

Leggiamo un passo in questo senso sintomatico. Grass, che è anche pittore, si sofferma a lungo, e con competenza,  su di un ritratto del vecchio  Fontane, una litografia del 1896 di Max Liebermann, sottolineando la somiglianza tra lo scrittore prussiano  e  Fonty  fino a sovrapporne  i tratti  e, fedele al dettato della fisiognomica, le caratteristiche morali:

Il mento piuttosto timoroso, morbido e rientrato. E questa forza di volontà manchevolmente sviluppata nella parte inferiore del volto, che non è rimasta celata nel disegno di Liebermann, potrebbe alludere alla debolezza di Fonty più volte dimostrata: di fronte ai Tallhofer o Hoftaller, sotto pressione cedeva. Implicazioni con la censura, cadute in prescrizione, durante la sua attività nella “Agenzia centrale per le questioni di stampa” ne sono la prova, sia a Berlino che più tardi a Londra;  e così pure la compiacenza di Fonty nel Palazzo dei Ministeri [19].

Londra? Berlino? Capisco il disorientamento del pubblico. Già, perché con un procedimento che potremmo definire di patch work, Grass assembla qui alcune esperienze di Fontane – la sua attività  di  agente governativo presso l’Agenzia di stampa londinese nel secondo Ottocento – con le mansioni di conferenziere di Fonty al servizio del regime di Ulbricht. Lo scrittore traccia  una figura diacronica  di intellettuale tedesco che non smette di cercare la deroga e il compromesso, che  trotta attraverso cento anni di storia mantenendo le stesse caratteristiche: debolezza, compiacenza verso il potere, rassegnato opportunismo. Di qui le istantanee che lungo il testo catturano  i due vecchi – Fonty e Hoftaller – in perfetta simbiosi, “adattati l’uno all’altro come tessere di un puzzle”, prodotti di una “prassi ultracentenaria”, in coppia  anche quando si tratta di sbarazzarsi di documenti compromettenti del passato regime. E in un’altra clip metaforica Grass ce li presenta  in precario equilibrio sulla stessa barca, sottinteso: pantedesca.

Ma  nei  cento anni di storia – lo sappiamo – è compreso anche il nazismo con il suo tragico addentellato, l’antisemitismo. Ora, è interessante osservare come Grass si serva del duetto Fonty-Hoftaller per mettere  in moto un meccanismo, in parte umoristico,  che è insieme di restituzione e di denuncia.

2. Cavatina tragicomica

Siamo ancora di fronte al ritratto di Liebermann, il pittore di cui Fonty decanta le virtù  pittoriche. E Hoftaller – rinculando  improvvisamente “nei panni di Tallhover” – prende a  strepitare:

Liebermann, sempre ’sto Liebermann! Cosa vuol dire poi:  notevole impressionista? Parliamoci chiaro: l’ebreo Liebermann! Sì, certo, l’ha disegnata e litografata, meglio degli altri, d’accordo. Ma resta comunque un ebreo, anche se per Effi Briest ha tratteggiato delle illustrazioni davvero carine. E insomma, tutti quegli ebrei al Suo fianco, attorno a Lei. L’amico di penna che Le forniva gli argomenti, l’ebreo Friedländer! Per decenni il Suo principale editore è stato un ebreo:  l’ebreo Wilhelm Hertz….! [20]

Procede per due pagine e ventiquattro cognomi  la cavatina di registro antisemita dello sbirro prussiano  che, stizzito,  inanella uno dopo l’altro editori e critici, lettori  e mecenati – insomma quel  milieu ebraico assimilato cui Fontane fu debitore del  suo successo – e  a cui Grass restituisce l’onore della cronaca letteraria [21]. Soffermiamoci sulla scrittura. La ripetizione, si sa, è uno degli elementi costitutivi del comico e qui l’anafora richiama una sorta di automatismo a molla. Il  fitto intercalare poi – natürlich, schon wieder ein Jude – na bitte, kommen Sie herein [22] – che costeggia il rapporto poliziesco sull’amicizia  tra Fontane e “gli ebrei della più bell’acqua come superprussiani” ha un indubbio esito umoristico. Ma mi chiedo: per qualsiasi lettore? In qualsiasi tempo? O più semplicemente: cosa ci induce oggi al sorriso?

Tento di chiarire (dicendo subito che  metto in discussione – anche con me stessa – quello che vado affermando). La comicità non è storicamente ancorata  – non è historisch resistent, per dirla con Hegel, né può esserlo  la retorica  che la regola. È una traccia mobile, che muta  nel tempo. (Mi spiego). Una situazione narrativa come questa  certo  non avrebbe mosso al riso il lettore del primo dopoguerra. Oggi invece, a più di mezzo secolo di distanza,  il nostro sguardo (mi sia concesso questo plurale che fonde esperienze e generazioni diverse) tende a recuperare la storia pregressa, riguadagnando alla nostra memoria quei felici frammenti ottocenteschi di assimilazione culturale tra ebrei e  tedeschi che lampeggiano sotto la  tirata di Tallhover. Sicché più lo sbirro strombazza il suo bilioso elenco, più il lettore assapora la (lessinghiana) ricostruzione di Grass. Ma questo dato storico – la sintonia tra Fontane e l’intellighentia ebraica – non è di per sé comico. Cos’è dunque che ci muove al riso? Qui ci soccorre l’acume di Jean Paul che per primo indagò la relazione tra soggetto che ride e oggetto d’ilarità. Egli  nota come una delle condizioni necessarie al riso sia la consapevolezza (Einsicht) di una situazione non minacciosa [23]. Ora, Tallhover ci muove al riso perché sappiamo che quello sbirro antisemita è ormai un innocuo Hoftaller. È di qui che muove l’ilarità, se pur modesta.  Il nostro è un rire d’exclusion, direbbe Bergson, che  opera su due fronti: delegittima il personaggio Tallhover ridicolizzandolo e sospende la nostra cognizione della sua successiva, novecentesca ferocia. Ma Grass non ci lascia indugiare in questa sorta di strabismo storico. Perché al primo repentino  scarto cronologico di Tallhofer già cadono  sulla pagina i termini della tragedia:

Da non dimenticare i Suoi [di Fontane] più grandi amici: non si chiamava in realtà Abrahamson, il Suo massimo fautore, l’ebreo Brahm? O l’ebreo Theodor Wolff, al quale più tardi, molto più tardi, restarono aperte  ormai solo le porte del lager; cosa che sarebbe senz’altro successa anche alla vedova Liebermann, se non l’avesse fatta finita da sola [24].

Come nella trilogia di Danzica Grass, oscillando tra comicità e tragedia si ripropone quale  censore  della storia tedesca. E non è disposto – come vorrebbe il  Hoftaller riunificato e  ormai mimetico rispetto alla dilagante ecclesia della CDU – a metterci una croce sopra   all’antisemitismo di casa. Che, anzi, il problema  solca  come un raschio l’intera  cronologia del  romanzo. Grass  incalza infatti suoi compatrioti aggiornando il tema  al 1991, quando risultano  evidenti gli esiti nefasti  di una certa politica di Bonn,  che come inutili arredi  scalza in quegli anni dalle università orientali  gli accademici in odore di simpatia per lo Stato Operaio e Contadino. Come, appunto,  l’ebreo Eckhard Freundlich, amico e corrispondente di Fonty.

Rispetto alla medietas un po’ da operetta degli altri personaggi, umili commedianti disposti se occorre al compromesso con  la “comoda dittatura” socialista,  Freundlich ha il rango e le qualità morali  che  Aristotele assegna all’eroe tragico. Nel padre, un tempo ministro della Ddr,  si riconoscono i tratti di tanti intellettuali che dopo il 1945 rientrarono dall’esilio scegliendo la zona d’occupazione sovietica. Il figlio Eckhard, espulso a suo tempo dal partito per deviazionismo, ora un sessantenne  docente di filosofia del diritto a Jena, viene sospeso dall’insegnamento attraverso quel drammatico procedimento messo in opera da commissioni di docenti occidentali e  passato alla storia come Evaluierung. Sono le pagine più amare del romanzo. Freundlich si vede espulso dalla stessa società tedesca:

Valutato e spazzato via! Ogni traccia dev’essere eliminata, tutto inutile, rottami e basta, come non aver mai insegnato e mai vissuto. Non sono che  briciole di gomma da cancellare! [25]

Con quel neologismo – Wegevaluiert! Grass denuncia qui quella vera e propria epurazione – lo sguardo distratto della comunità scientifica europea non sembra averlo colto [26] – che non ha precedenti nella storia tedesca. Abgewickelt [27] ossia amputato della sua identità intellettuale, Freundlich si toglie la vita, lui solitario  erede  di un’utopia perduta,  mentre la Germania unita – “il cancelliere in testa”, circondato dalle frange residue della nobiltà prussiana – rulla i tamburi davanti ai catafalchi reali degli Hohenzollern di ritorno a Potsdam.

3. Una famiglia tedesca

Ritorniamo così al tema di fondo di Ein weites Feld, la riunificazione tedesca. I saggi, le interviste, ma anche la produzione poetica di questi anni  chiariscono la visione di Grass, favorevole fin dagli anni Settanta a una confederazione, la sola forma istituzionale che l’autore, fedele ai principi della herderiana Kulturnation, considera capace di rispettare la diversità politico-culturale dei due stati tedeschi.

Nel romanzo, con il capitolo intitolato Le nozze di Martha, Grass mette a confronto le due Germanie utilizzando il modulo classico della mésalliance all’interno di un umoristico affresco polifonico, che rivela un pronunciato gusto per l’oralità.

Il cast  familiare che siede al banchetto nuziale ha alle spalle la storia di un paese diviso. E se il riso, come osservava James Beattie, sgorga di fronte all’incongruenza di due parti malassortite, questa delle nozze è indubbiamente una situazione esemplare [28]. Da una parte ci sono gli “aborigeni”, ossia gli impolverati cittadini della ormai annessa Ddr: oltre  a Fonty  in tenuta da ex-conferenziere e  la moglie Emmi, ritagliata nella grammatica berlinese, c’è  la loro attempata figliola, quella Martha cresciuta nella fede comunista e ora  sposa  in  crisi mistica e cura di acqua santa. Dall’altra c’è  lo sposo di Amburgo, il vedovo cattolico Grundmann  che – nomen omen [29]è un avamposto  di quella vorace speculazione edilizia  che si è spinta fino al Mar Nero per  ritagliarsi con “metodi non convenzionali” i più  “succulenti pezzi di filetto”  dalla polpa dei territori orientali. Sullo sfondo s’intravede una prole eterogenea, tra gli altri ci sono i figli maschi di Fonty, passati in occidente ancora ragazzi e ora saldamente  incardinati nell’apparato difensivo  di Bonn. Di questi solo Friedel, l’editore di pubblicazioni devozionali, è  presente – gli altri sono impediti dal segreto militare [30]. L’intero capitolo si costituisce come una commedia degli equivoci semantici [31]. Grass usa a piene mani l’effetto di trasposizione: emblematico è il passaggio dal tono apostolico a quello venale nel parlato di Friedel, il cui zelo colonizzatore si riassume nel titolo binario della nuova rivista destinata al mercato orientale:  “Missione oggi” [32]. Anche l’anafora Verstehe – capisco – che  marca  l’eloquio di Grundmann  segnala un doppio spostamento: lo sposo  capisce esattamente dove sta il suo interesse pecuniario e al tempo stesso con l’ossessiva reiterazione del pronome wir – noi – prodiga una benevola condiscendenza nei confronti degli Ossis, del tutto ignari  delle leggi del mercato.

La comicità risulta dall’incrocio e dallo scontro delle ideologie e dei rispettivi linguaggi, utlizzati alla stregua di tessere  di colore disseminate nel testo.  Mi soffermo sul  passo  più saliente. Come nel  poema comico [33] l’eroica invocazione alle muse si scontrava  con gli accenti della realtà plebea, così il fervido  appello  di  Grundmann per i  “sacrosanti diritti della proprietà”, musa aggiornata della privatizzazione liberista, cozza contro i Lieder di un’antica solidarietà operaia  ormai fuori corso  che nell’ebrezza dello Chablis  sgorgano improvvisi e trascinanti dalla memoria femminile dei  “colcosiani” convenuti al banchetto. Discorso prosaico contro  canto melodico: sono anche  gli ingredienti caratteristici di un’opéra comique pronta a svoltare nell’operetta, non a caso il pranzo  ha luogo nella Offenbach-Stube. Le due fazioni si contrappongono vivacemente. Commozione versus dileggio. Inevitabile l’alterco finale. La festa del connubio si ribalta  in una separazione:

Fine del canto. Restammo seduti attorno al tavolo come estranei.[…] Tra sposo e sposa  c’era un vuoto. Solo il parroco Matull trovò ancora le parole adatte: “Non ci conosciamo. Non ci riconosciamo l’un l’altro” [34].

Posto a conclusione del secondo libro, l’episodio  con quel teso Wir erkennen einander  nicht sembra negare un’intesa. Non è così.  Il carattere polifonico della scrittura grassiana  non mira alla sintesi, ammette anzi il dubbio, l’ambiguità e la varietà della lettura. Indicativa in questo senso è la battuta  che  Fonty rivolge in chiusura al narratore: “Scrivete quello che vi pare, ma non riducetemi il Grundmann a una caricatura. Tutto sommato si è spinto fino al Mar Nero, per accalappiarsi la mia Mete…”. Il romanzo si configura allora come immenso archivio, incontro e incrocio di un sistema di segni che risponde a  una realtà tedesca sempre più stratificata. Anche gli incastri narrativi ubbidiscono a questo principio. Se Grundmann perirà alla guida di una Bmw nello scontro con una Trabant – l’auto-simbolo dell’arrugginita industria socialista – farà tuttavia in tempo ad addomesticare  alla legge del profitto la moglie Martha, che alla fine scorazza,  risoluta vedova in carriera, nella finanza nazionale. S’intravede insomma un possibile incontro tra opposte posizioni all’insegna dell’unità tedesca. Ma sarà proprio per sfuggire a questa evenienza che Grass …

4. Coup de théatre (en famille)

Sulla complessità narrativa di Ein weites Feld non si contano i saggi critici. Perché oltre al gioioso ammiccamento dei protagonisti ai rispettivi antecedenti letterari che caratterizza questa sorta di testo-arlecchino, non c’è capitolo  in cui Grass non si diverta a mettere in azione una delle mille manovelle della sua macchina narrativa, scoprendo al lettore doppifondi, remote genealogie adulterine, schedari segreti, epistolari di vario genere. Si diceva di una famiglia tedesca, quella di  Fonty.  Ma tra le sue pratiche riservate, Hoftaller conserva un fascio di lettere d’amore del capofamiglia, siglate Lione. La femme va dunque  cercata fuori dagli angusti confini tedeschi. Nel lontano 1944 Fonty ha infatti avuto un affaire nelle retrovie delle Cevenne con una partigiana francese. Ecco allora che salta fuori Madeleine, candida studentessa di germanistica che, appena caduto il muro, vuole conoscere le grand père, Fonty appunto. Non ha torto Hoftaller  quando parla sarcastico di “ricomposizione familiare”, e si noti come Grass verbalizzi, parodiandolo, il linguaggio burocratico dello  ius sanguinis [35].  L’espediente narrativo, che interagisce con le festose fanfare della riunificazione, ci dice anche dove batte il cuore di Grass. Perché è lei – la petite – con la sua seducente integrità morale, l’unica figura che ha la piena fiducia  dell’autore. Ed è lei, irresistibile col suo arrotato tedesco letterario, risoluta nel suo immediato disprezzo per monsieur Offtalèr, a prendere per mano Fonty sulla strada di una possibile riconciliazione con l’unità tedesca. La rappresentazione acustica della parola, il gioco strumentale dell’ibridazione fonica e linguistica determinano nel lettore un moto di sorridente partecipazione – Freud direbbe di libero gioco infantile – ma non solo.

Il francese  di Madeleine ha un altro effetto decisivo: filtra un lessico tedesco – Nation, Vaterland, Deutschland – che il nazismo  ha inciso con la sua violenza, restituendolo intatto al lettore. Non teme infatti, la petite, il patriottismo – si dichiara anzi  fiera di appartenere alla Grande Nation. Nei suoi liberi occhi adolescenti la nazione è memoria culturale e per lei la Germania è Kleist, e Beethoven, e Fontane naturalmente. Perciò  partecipa con slancio istintivo  al tripudio popolare  per la riunificazione – nell’ottobre del 1990 – cantando a squarciagola la Hymne an die Freude. Fino a impartire a Fonty una lezione di europeismo, sostenendo che “non si deve star lì a ragionare sul minuscolo, bensì levar lo sguardo a cose grandi. E che la Germania deve finalmente imparare a diventare una nazione”, perché “senza una Germania forte la Francia si addormenta”.

Qual è allora la funzione di Madeleine? Quella di riproporre, da un punto di vista esterno – e quindi innocente [36] –  un primum originario: il bisogno d’identità nazionale. Utilizzando la spontanea  esultanza di Madeleine, Grass mette in scena un tratto, vorrei dire un’urgenza  della coscienza tedesca dopo Auschwitz: il bisogno di riconciliarsi con se stessa. Ma questo non può avvenire motu proprio. Per accettare  la nazione e la propria storia è necessario  un dispositivo extranazionale. Ecco allora che, rievocando la festa della riunificazione, Grass concede a Theo Wuttke, alias le grand père Thèodore [37],  di percepire etwas wie ein Wir-Gefühl. L’afflato di un “noi”, l’impulso verso una comunità tedesca, vengono per così dire messi agli atti, in attesa di un certificato di buona condotta.

Intanto però, prima di tirare il sipario, Grass ammicca al lettore con un’ulteriore capriola  narrativa. Il vecchio Fonty esce infatti di scena con suole di vento, disertando la Germania per eclissarsi con Madeleine in un agreste paesaggio francese. Grass chiude quindi il romanzo ex negativo, con un’ultima mossa  da saltimbanco che lo disloca, anno 1995, fuori dai confini nazionali [38].

Tiriamo le somme. Riprendendo il gioco d’intersezione tra i  punti nodali del testo – la riunificazione e il confronto con la cultura della Germania orientale – risulta  chiara la funzione dell’umorismo in Ein weites Feld. L’ironia non nega l’esistenza della nazione ma le sottrae un pathos ingombrante e monologico, ne sancisce un’oggettività mobile e dubbiosa. Al tempo stesso la divertita bonomia con cui Grass introduce  virtù e miserie della scomparsa Ddr, afferma il testo come opera di riconciliazione [39], lasciando intravedere il “vasto campo”  di un’autentica vita collettiva.

Anna Chiarloni

 

da: Le emozioni nel romanzo. Dal comico al patetico, a cura di Paolo Amalfitano, Roma, Bulzoni, 2004, pp. 209-226.


[1] Günter Grass, Ein weites Feld, Steidl, Göttingen 1995. Ombra Perenne, nell’originale Tagundnachtschatten. Cito dalla traduzione di C.Groff, Einaudi, Torino 1998, indicando in nota – qualora necessario – il testo tedesco.

[2] Der Unsterbliche.

[3] Lo stesso Fonty identifica le  persone che lo circondano come figure fontaniane, una sorta di tic letterario talora mal sopportato dai familiari. Così  Emmi  è percepita da Fonty come   Emilie Rouanet-Kummer, moglie di Fontane; e analogamente  la figlia Martha è appaiata con la Mete dello scrittore prussiano.  I paralleli includono, oltre la struttura familiare, anche le amicizie: il professor Freundlich, ad esempio, è la controfigura di Friedlaender, amico e corrispondente di Fontane.

[4] Il giudizio di Grass è drastico:  ambedue vengono definiti “bari colossali” . Ibidem, p. 271.

[5] Cito due testi emblematici: Was bleibt di Christa Wolf e “Ich” di Wolfgang Hilbig. Rimando per questo tema, entrato a pieno titolo nella letteratura degli anni Novanta, al mio saggio Germania 1989. Cronache letterarie della riunificazione tedesca, Franco Angeli, Milano 1998, pp. 80-91.

[6] È necessario a questo proposito richiamare i termini della discussione intertedesca  di quegli anni. Le rivelazioni successive all’apertura degli archivi della Stasi,  prontamente utilizzate dal governo di Bonn,  contribuirono in fatti al discredito etico, oltre che politico della Ddr. L’ironia divertita con cui  Grass affronta il tema ha un’evidente funzione sdrammatizzante.

[7] Grass vede nella riunificazione un atto di colonialismo del governo di Bonn nei confronti dei tedeschi orientali. Di qui la ricorrenza dei  termini economici nel parlato dei personaggi occidentali, con i relativi spostamenti semantici derivati dalla liquidazione in corso dell’economia socialista. Ostgeld ad esempio è  simmetrico non a Westgeld bensì a Hartgeld (marco pesante).

[8] Revolat è palindromo fonico di Tallhover, il personaggio di Schädlich, allude  quindi a un percorso a ritroso nel tempo che coinvolge anche la Germania precedente alla divisione. Da un palindromo all’altro, lo sbirro di Grass  scaprioleggia dunque da un secolo all’altro nella storia tedesca.

[9] Germania 1989, cit., pp. 92-95.

[10] Mi riferisco all’esempio di Pirandello – la vecchia signora truccata – a proposito della distinzione tra comico e umoristico. In L. Pirandello, L’umorismo, Mondadori, Milano 1969, p. 127.

[11] Il lessema è forma tronca, con i ipocoristica, di der Ostdeutsche, tedesco orientale, abitante della ex-DDR. Complementare ad esso è Wessi (der Westdeutsche), entrambi in uso nel registro colloquiale e informale.

[12] Bei den Mauerspechten.

[13] Nell’incipit alcune coincidenze fanno pensare a un omaggio implicito di Grass a Flaubert: oltre alla giornata domenicale e al  rumore di fondo, il  profilo dei due personaggi rimanda inequivocabilmente a Bouvard et Pécuchet. E ancora: “Ils se completent moralement l’un par l’autre”, scrive Flaubert negli appunti  di lavoro. Cfr. G.Flaubert, Bouvard et Pécuchet, édition critique par A. Cento, précédée des scénarios inédits, Librairie Nizet, Paris 1964, p. 4.

[14] Ibidem, p. 8.

[15] G. Ferroni, Il comico nelle teorie contemporanee, Bulzoni, Roma 1974, p. 32.

[16] Qui Grass ripoduce con intento beffardo  il linguaggio politco di Ulbricht, rievocando l’erezione del “baluardo della pace” nel 1961.

[17] Più precisamente scozzese. La notazione è sarcastica, Grass infatti intitola il  2. capitolo Annähernd schottisch (Grosso modo scozzese) alludendo alla scelta del locale – McDonald – fatta da Fonty in omaggio all’interesse  di Fontane per la Scozia.

[18] Il procedimento della ripetzione è esplicito e si articola secondo uno schema combinatorio che appaia fisicamente Fonty e Hoftaller lungo tutto il romanzo. Solo con la fuga   in Francia Fonty riuscirà ad emanciparsi dalla tutela di Hoftaller.

[19] Ibidem, p. 36.

[20] Ibidem, p. 43.

[21] Il tema viene ripreso nel capitolo 16, a proposito di alcuni diari  originali  di Fontane, “rinvenuti in una cassaforte – naturalmente in una cassaforte ebraica”. Ibidem, p. 269.

[22] “Naturalmente ecco di nuovo un ebreo – ma La prego, si accomodi”.

[23] Jean Paul Richter, Vorschule der Aesthetik (1804), § 28.

[24] Ibidem, p. 44.

[25] Ibidem, p. 289.

[26] Rimando per questo aspetto  al mio intervento La précarisation du travail intellectuel dans l’Allemagne réunifiée: le cas de  l’Académie des  Sciences, in “Liber” 1996, p. 29.

[27] Intraducibile neologismo affiorato con la liquidazione della Ddr, indica il declassamento del singolo rispetto alle sue mansioni precedenti alla valutazione occidentale.

[28] J. Beattie, On Laughter and Ludicrous Composition, Edinburgo 1776, p. 590: “Laughter arises from the view of two or more inconsistent, unsuitable, or incongrous parts or circumstances”.

[29] Grundmann richiama sia la Gründerzeit ottocentesca, sia Grund (terreno), ossia la speculazione edilizia.

[30] Il dettaglio si configura come una  beffarda simmetria istituita da Grass del  divieto di espatrio in vigore nella Ddr, anche in occasione di cerimonie familiari.

[31] Il capitolo approfondisce quella ricerca di Grass in area linguistica che caratterizza il  romanzo, mettendo in evidenza la collisione delle sfere semantiche cui fanno rispettivamente  riferimento occidentali e orientali. Nel linguaggio degli Ossis, nella moglie soprattutto, si  nota la frequenza del dialetto berlinese  impastato con  acronimi e  lessemi che rimandano a strutture politico-culturali della Ddr ormai scomparse.  L’esempio più signifcativo è il termine Kulturbund (Lega per la Cultura), tipica istituzione  della  Repubblica degli Operai e Contadini  cui Fonty deve la sua identità, assunto  viceversa dai Wessis come eco di una cultura socialista  e quindi stantia.

[32] L’effetto comico deriva in questo caso dalla manipolazione dello spettro semantico: Friedel cavalca  il linguaggio religioso  per affermare una mera espansione editoriale.

[33] Mi riferisco rispettivamente a La secchia rapita (1622) di Tassoni, a Le lutrin (1674)  di Boileau e a The rape of the Lock (1712) di Pope.

[34] Ibidem, p. 252.

[35] Il termine Familienzusammenführung designa  il dipositivo burocratico che consentiva il ricongiungimento di cittadini tedeschi residenti in stati diversi.  Si  noti l’ambivalenza del procedimento grassiano: Hoftaller è come al solito l’artefice di questa svolta decisiva, cosa che da una parte ribadisce in Fonty il suo essere eterodiretto, dall’altra conferisce dignità narrativa al personaggio Hoftaller. Nella digressione successiva, inoltre, Grass istituisce un  collegamento della Stasi con la vecchia guardia dei partigiani europei, implicitamente assegnando ai  servizi segreti della Ddr una funzione per così dire di  salvadanaio  del  patrimonio resistenziale.

[36] Risultano a questo proposito utili le considerazioni di F. Orlando che,  a proposito delle Lettres Persanes di Montesquieu, sottolinea come l’estraneo possa capire la realtà meglio del nativo. F.Orlando, L’altro che è in noi. Arte e nazionalità, Bollati Boringhieri, Torino, 1996, pp. 17-20.

[37] Attraverso Madeleine Grass utilizza un processo di ridenominazione che reinserisce  Theo Wuttke nella nobile genealogia dei partigiani della Résistence.

[38] Il desiderio di fuga  corre lungo tutto il romanzo grazie alla  traccia metaforica dello svasso, l’uccello acquatico del Tiergarten caro a Fonty, che pare segnalare la pulsione  verso un’immobilità prenatale e – in definitiva – verso la morte.

[39] Per questo, con qualche buona ragione, il romanzo è stato definito l’ultimo Westpaket, con allusione ai pacchi-dono che ai tempi del muro gli occidentali mandavano ai “parenti poveri” della Ddr.

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